Roma, 12 mag. (da Adnkronos Salute)
Diritto di nascita sempre, anche a chi non è sano.
Lo ricorda la Cassazione che mette in chiaro come “la mancanza di consenso informato”, tale da far decidere la madre “alla interruzione volontaria di gravidanza, non può dar luogo a risarcimento anche nei confronti del nascituro poi nato con malformazioni, oltre che nei confronti della gestante madre”. In pratica, la Suprema Corte, ricordando che nel nostro ordinamento non è contemplato “un diritto a non nascere se non sano”, sottolinea come “il concepito, poi nato, non potrà avvalersi del risarcimento del danno perché la madre non è stata posta nella condizione di praticare l’aborto”.
Il principio è stato affermato dalla terza Sezione civile (sentenza 10741) che si è occupata di una vicenda avvenuta 22 anni fa in un ospedale napoletano. I coniugi D.P. e S.V., non riuscendo ad avere figli dopo il matrimonio, si erano rivolti a una clinica di Napoli dove la moglie era stata affidata alle cure di due medici. Le era stato prescritto un medicinale (Clomid) e dopo alcuni mesi S.V. era rimasta incinta. Senonché, ricostruisce la sentenza di piazza Cavour, S.V. aveva dato alla luce un bambino con delle gravissime malformazioni. Il ragazzino nel frattempo è cresciuto, è diventato maggiorenne e si è rivolto, insieme ai genitori, alla giustizia per ottenere il risarcimento dei danni. Piazza Cavour ha confermato per intero la sentenza della Corte d’appello di Napoli che, nel marzo 2004, dichiarava i due medici responsabili dei danni subiti dai coniugi e dal loro figlio e li condannava al pagamento, in favore della madre, di una somma di 78 milioni delle vecchie lire e circa la metà della somma veniva riconosciuta al padre. In primo grado, però, il tribunale napoletano aveva condannato uno dei medici a risarcire ulteriormente i genitori del ragazzino malformato con una somma di oltre due miliardi di vecchie lire. Ma in appello, e la Cassazione ha confermato, veniva sospesa l’efficacia esecutiva della sentenza per le somme che superavano l’importo di 500 milioni di vecchie lire. In particolare, la Suprema Corte, respingendo sia il ricorso dei medici sia quello del ragazzo e dei suoi genitori, ha ricordato che il ragazzo, godendo di una “soggettività giuridica sul piano personale quale concepito”, aveva diritto “a nascere sano” e quindi ecco perché i sanitari dovranno risarcirlo “per mancata osservanza sia del dovere di una corretta informazione (ai fini del consenso informato) relativamente alla terapia prescritta alla madre, sia del dovere di somministrare farmaci non dannosi per il nascituro stesso”. Ma quest’ultimo, rimarca la Cassazione, non ha “diritto al risarcimento qualora il consenso informato necessitasse ai fini dell’interruzione di gravidanza (e non della mera prescrizione di farmaci), dal momento che non esiste il diritto a non nascere se non sano”.