QUEI POVERI DIAVOLI : gli sgaiozzi

QUEI POVERI DIAVOLI : gli sgaiozzi
un raccontino di Natale scaturito dai ricordi di Mara Seccia.

Nei giorni che precedevano il Natale mia madre e mia nonna si apprestavano a preparare i tipici fritti della cucina popolare della nostra terra d’Abruzzo, gli sgaiozzi, oggi pressochè sconosciuti.
Dolci, rozzi, poveri, impastati con farina di mais, patate lesse, zucchero, uova, lievito di birra e uvetta passa di certi grappoli tenuti appesi in cantina per lunghi mesi.
“Nin me facete fa’ Natale senza sgajuzz!” tuonava mio padre.
Le due donne erano impegnatissime a schiacciare patate e a mettere in fila sulla spianatoia tutti gli altri ingredienti. Spesso si accapigliavano un po’, convinte che ognuna di loro due fosse più esperta dell’altra.
“Piano, devi versare la farina di granoturco con delicatezza altrimenti l’impasto si riempie di grumi e si ammoscia” consigliava la nonna e la mamma spazientita “ Credo che mi ammoscerò io!”
L’impasto diventava liscio, vellutato, da mangiare con gli occhi.
Noi bambini guardavamo, incantati e silenziosi, le due altere sacerdotesse e le loro mani leggere che giravano il cucchiaio di legno nelle grandi terrine un po’ sbreccate sugli orli. Già, due terrine per una famiglia numerosa come la nostra, undici persone e tanto chiasso in tutte le occasioni. Ma a Natale eravamo più buoni: i preparativi nell’ampia cucina fumosa, il tacchino legato con una cordicella alla gamba di uno dei due grandi tavoli, i torroncini di fichi secchi acquistati a Guardiagrele, il presepe, accanto alla maestosa stufa di ceramica rossiccia, ci rendevano teneri e pieni di speranza, almeno in una leccatina…
Aleggiava una insolita aria di magia…
La cucina è il luogo dei ricordi che si affollano nella mente e nel cuore. In quel tempo era la stanza più calda e accogliente della casa, nei lunghi freddi inverni, dove si stava insieme a consumare i pasti, a parlare, a giocare a raccontare antiche storie un po’ vere, un po’ inventate.
Ripercorrere, rivivere i cibi di famiglia risveglia il proprio passato, diventa il motivo per riflettere su quelle origini che sono l’essenza delle nostre esistenze.
Ma torniamo ai nostri “poveri” sgaiozzi. Ormai era tutto pronto, la nonna, con un’espressione solenne che ci intimoriva, faceva il segno di croce sulle terrine contro un eventuale malocchio…
Lei e la mamma mettevano a riscaldare l’olio nella grande “firsore” di ferro e cominciavano a versarvi l’impasto a cucchiaiate. Gli sgaiozzi, improvvisamente, iniziavano a gonfiarsi, a girare, a saltare, a indorarsi…
Assumevano una forma rotondeggiante. Avevano un’anima forse?
Volevano che festeggiassimo la nascita di Gesù con quel loro incredibile sapore di dolcezza infinita?
Spossate, zitte, dentro una nuvola odorosa di olio fritto le nostre donne si asciugavano il sudore con l’angolo dello scialletto poggiato sulle spalle. Scolavano gli sgaiozzi con il mestolo bucherellato e li adagiavano su fogli di carta assorbente di colore giallo. Infine li sistemavano in un gran cesto. L’acquolina in bocca ci faceva ingoiare in continuazione, il profumo era inebriante, la voglia insopportabile.
Nonna Anna urlava:”Sciò, sciò, ma che siete tutti gravidi? Li mangeremo la notte di Natale, ora sarebbe peccato”.
A questo punto appariva sulla porta LUI, nostro padre che prendeva il cesto e lo chiudeva a chiave nel grosso armadio nero che troneggiava nel corridoio. Ascoltavamo, con gli occhi sbarrati e il cuore che batteva, il rumore della chiave che, girando nella vecchia serratura, imprigionava quei dolci tesori.
“Si màgnene quande arrive lu Bambinelle sopre a ‘sta terre”. Esclamava LUI.
Ma noi avevamo scoperto che ogni tanto, credendo di non essere visto, apriva l’armadio e gustava uno sgaiozzo beatamente, ad occhi chiusi.
Stavamo zitti, era il padrone della casa, dell’armadio, degli sgaiozzi.
La mamma, se riusciva ad eludere la sorveglianza serrata della nonna, ne nascondeva qualcuno nelle tasche del grembiule prima di adagiarli nel cesto. Allora eravamo felici, ognuno aveva il suo pezzetto che addentava piano, quasi per non fargli male.
Attilio era un po’ indeciso, chiedeva: “Il Bambinello si arrabbierà con noi?”
Ma la mamma lo rassicurava:” No, no, sarà contento per voi bambini, Gesù è buono, forse punirà vostro padre che li mangia da solo!”
Abbracciavamo la mamma ridendo da matti.
Ecco, un pezzo della mia infanzia che avevo dimenticato è tornato con tutti i volti delle persone che ho amato e che non ci sono più…Il mio piccolo mondo tra fantasia e realtà, quando si sapeva sognare ad occhi aperti e perfino gli sgaiozzi, quei “poveri diavoli” avevano un’anima.

Mara Seccia
www.poesiadabruzzo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.